LLM e dintorni

Riflessioni e proposte su LLM, AI e dintorni
Elaborazione work in progress, dedicata prevalentemente ai LLM (Large Language Model) ovvero ai dispositivi generatori di testi , con modifiche e integrazioni in corso d’opera, realizzato senza assistenza digitale, con le sole competenze cognitive e linguistiche “umane”, fatta salva la possibilità delle ricerche in rete, per altro già ampiamente “tradizionali” da tempo. Qualora, in taluni casi, si decidesse di far uso di dispositivi di assistenza artificiale per l’ideazione e la stesura del testo, se ne darà conto. E’ il caso, per esempio, dell’immagine qui sotto.
Illustrazione realizzata dal generatore di immagini messo a disposizione da wordpress per la gestione del sito, cui è stato assegnato questo prompt:
I dispositivi di generazione testuale non sono strumenti neutri facilmente adattabili ai nostri fini. Sono stati prodotti e vengono diffusi in un contesto ad alto tasso di mercificazione, sfruttamento del lavoro umano mal pagato e interagiscono fortemente con le potenzialità cognitive e linguistiche di chi li usa, fino a condizionare certamente gli esiti del suo lavoro, ma anche, probabilmente, il suo modo di pensare.

DidascalicAI
Applicazioni didattiche
Nell’area del sito dedicata alla Didattica saranno raccolti spunti, riflessioni, proposte ma anche esempi di pratiche pessime o quanto meno sospette.


Esercitazioni
ed esempi di uso attivo
In altra parte del sito, sono raccolte non poche “esercitazioni” e molti esempi di “dialoghi operativi” con diversi dispositivi diversi di AI.
Una doverosa scelta di campo
Come avrò modo di spiegare in queste pagine, la mia fonte di conoscenza e di analisi interpretative attorno alla natura, le implicazioni e la pluralità di impatti dei dispositivi digitali sugli universi della comunicazione e dell’educazione si avvale prioritariamente del lavoro, delle riflessioni e delle esperienze sul campo di Marco Guastavigna, di cui darò conto e riferimenti. [vedi Riflessioni e proposte su LLM, AI e dintorni]
Intanto mi sembra utile condividere questa sintesi di molte delle complesse questioni in campo “(fake, of course)”. Sembra solo un divertissment, ma purtroppo non è così. Del resto, come su altre faccende assai serie, ormai è possibile solo più buttarla in provocazione o in sarcasmo, perché i discorsi seri, se radicalmente in opposizione alle “narrazioni” (come piace dir oggi) dominanti, difficilmente trovano contesti adeguati per essere espressi e quindi ascolto.
da Marco Guastavigna, “Il luogo qualunque: non solo gli accenti tonici sono sregolati“, gessetti colorati, gennaio 2025, con https://www.talkingavatar.ai/
Riflessioni e proposte
Una necessaria premessa
Questa è una sezione molto complessa da affrontare.
L’universo della comunicazione umana e probabilmente anche in parte del pensiero ha intrapreso da poco tempo un percorso dai destini quanto mai difficili da prevedere.
La diffusione dei dispositivi di generazione testuale, così come già oggi sono e ancor più nelle evoluzioni che sicuramente avranno, comporterà una trasformazione epocale nel modo di produrre e fruire testi e quindi pensieri. Credo che, a posteriori, verrà equiparata alle altre due grandi evoluzioni vissute dal genere umano su questi versanti: la conquista della scrittura e successivamente della stampa. Del resto è dalla prima metà del secolo che si è cominciato a ragionare prima attorno alla “riproducibilità tecnica” delle opere d’arte (il testo di Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica è del 1936, anno triste e cruciale nella storia europea), poi, con l’avvento della scrittura e della massiccia diffusione della comunicazione su supporti digitali si è cominciato a porre interrogativi attorno agli “effetti cognitivi della multimedialità digitale” e a chiedersi se fosse il caso di parlare di “forme di cultura che si vanno perdendo” in quella che Raffaele Simone ha definito la Terza fase (2000).
Da quegli interrogativi è passato ormai un quarto di secolo e ora possiamo esserne certi: tra le conseguenze collaterali della stagione pandemica c’è sicuramente una accelerazione della progettazione, produzione e diffusione di dispositivi che certamente avranno effetti sui processi cognitivi e realizzeranno (stanno già realizzando) una trasformazione radicale e profonda delle modalità di produrre, diffondere e probabilmente anche di concepire saperi e culture.
Nella molteplice varietà di analisi, studi, posizionamenti su ciò che sta accadendo una posizione sembra universalmente accettata anche fra chi si pone su versanti assai lontani, se non opposti: ovvero l’inopportunità, se non l’inutilità o la pericolosità, di rimanere invischiati in una finta dialettica rigida e sclerotizzata fra tecnofili e tecnofobi, variante dell’alternativa, altrettanto vana da cui invitata a suo tempo a rifuggire Umberto Eco fra “Apocalittici e integrati” (1964).
E allora perché non rileggere proprio una parte della manchette pubblicitaria italiana del libro di Benjamin (a proposito di versioni di grande diffusione di concetti complessi):
… la perdita del carisma insito nell’opera d’arte, «unica» eppure riprodotta, non è deplorata da Benjamin con quell’atteggiamento aristocratico che contraddistingue alcuni esponenti della Scuola di Francoforte. Egli collega infatti la «perdita dell’aura» nella società contemporanea all’irruzione delle masse sulla scena e alla loro richiesta di beni culturali che è giocoforza diventino merce. La riproduzione dell’opera d’arte in «sede impropria» non ne comporta una perdita di qualità, ma piuttosto una desacralizzazione, il che favorisce un’esperienza laica della cultura e ne sostituisce il valore rituale con un valore espositivo antiestetizzante.
Mercificazione, depersonalizzazione, perdita di sacralità, banalizzazione, diffusione di massa (ma ora anche sfruttamento intensivo del lavoro apparentemente marginale – cognitivo, visivo e testuale – di nuovi schiavi digitali) sono parametri che ritornano anche oggi a proposito della possibile reiterazione, seppure non ancora di massa, dei processi di generazione linguistica e testuale o per meglio dire delle innumerevoli potenzialità di supporto, consiglio, integrazione, rettifica e sostituzione che gli assistenti digitali offrono o suggeriscono all’esecutore umano.
Si tratta di una complessa realtà che impone di sottrarsi alla fatica abbastanza sterile di immaginare e diffondere visioni utopiche o distopiche di ciò che ci attende, e di impegnarsi piuttosto nell’indagine critica e consapevole delle motivazioni, dei contesti, delle procedure e dei prodotti di ciò che sta già accadendo davanti ai nostri occhi e spesso sopra le nostre teste.
In fondo quasi tutti abbiamo già cominciato a farne uso e abuso, senza aver capito bene di che cosa si tratta, come funziona e soprattutto a chi giovano le circostanze e le dinamiche già ampiamente in atto. Un insieme di prodotti e di processi destinati comunque a mutare le modalità di pensare, scrivere e leggere in molti contesti professionali, così come sta già avvenendo in tutta la comunicazione sociale sia veicolata su media digitali che cartacei. Così come delicatissimo terreno di applicazione e di conquista economica, culturale e ideologica sono già la scuola e i processi di apprendimento.
Alcuni punti fermi di contesto
Non è certo facile avere una posizione informata e solida su quanto sta avvenendo, anche perché la diffusione delle diversificate performance della autoproclamatasi “AI” (un fenomeno che ormai data da almeno metà del Novecento) necessità di una attenzione e di indagini multidisciplinari (o multifattoriali) per le implicazioni politiche, ideologiche, economiche, ambientali che comporta, prima delle circostanze e delle applicazioni che direttamente interessano, in questo caso cognitive, linguistiche e testuali in ambito della comunicazione sociale e professionale e dei contesti educativi. Senza la consapevolezza di queste variabili e una adeguata visione critica delle loro implicazioni è assai pericoloso, oltre che limitativo e falsamente ingenuo o proditoriamente ipocrita, avventurarsi nell’uso dei dispositivi che rendono possibili quelle performance. Come è quasi sempre accaduto, la pericolosità di una “innovazione” tecnologica, non è insita solo nella sua natura (comunque artificiale e della cui presunta umanità o umanizzazione è abbastanza vano o elusivo dissertare), quanto nel contesto, nei fini e nelle procedure del suo esercizio. Anche se in questo caso, le potenzialità di autogenerazione endogena di parametri, criteri, indirizzi e pratiche conseguenti, da parte del sistema che li progetta e produce e dei singoli dispositivi che ne derivano, sono certamente più elevate che in altre circostanze che la storia umana ha prodotto e percorso. Ed è per questo che si ha la sensazione di una svota o di una frattura epocale.
E non è neppure facile farsi un’idea personale ma documentata su tutto questo. Non è facile, ed è questa una delle prime palesi conseguenze della diffusione del LLM, anzitutto perché la quantità di analisi, testi, ipotesi, promozioni commerciali, operazioni di marketing è diventata, in breve tempo, pressoché sterminata. Nonostante la fase acuta del processo di massa sia infatti assai recente, databile attorno alla comparsa in rete delle varianti free dei primi dispositivi di generazione testuale (e quindi attorno al 2022/23), a volersi occupare di questi fenomeni, si prova la sensazione di perdersi di un universo entropico e magmatico di posizionamenti, parole e di testi, e ora anche dei loro molteplici rifacimenti.
Per tentare di districarmi in questo ginepraio, mi avvalgo del lavoro intelligente (in senso antico e lato), intenso e capillare di documentazione, sperimentazione e analisi critica di Marco Guastavigna , degli scambi con lui e con Stefano Penge e di alcune letture e sperimentazioni compiute direttamente e di cui renderò conto in queste pagine. Questa modalità testimonia che, ad oggi e forse ancor più che in passato, per avventurarsi in qualche branca dell’agire e del sapere sono indispensabili la mediazione e lo scambio con e fra umani, e in particolare con e fra umani con cui si condividano alcuni presupposti, posizionamenti, punti di vista.
E’ dunque quello che ho tentato di fare e quanto vado scrivendo è ciò che ne ho imparato e dedotto.
Corollari importanti
Accanto a questi punti fermi, credo opportuno soffermarmi su alcuni corollari non meno significativi, almeno per le prospettive dell’apprendimento in generale e dell’apprendimento scolastico in particolare, che sono poi gli ambiti che maggiormente mi interessano. Ebbene proviamo ad elencarli.
- L’incidenza sul concetto di apprendimento e sulle sue pratiche
Alcune convinzioni maturate
Ecco, esaurito questo lungo percorso di avvicinamento, posso provare ad addentrarmi nelle convinzioni che mi sembra di aver maturato e che mi sembra di poter affrontare come terreni privilegiati di riflessione e di proposta. Va da sé che do per scontati i riferimenti a quanto detto fin qui e che costituisce non solo la cornice che li include, ma soprattutto la filigrana su cui vengono concepiti e che li alimenta.
- Imparare a leggere e scrivere: sulla carta o – anche? soprattutto? – sui supporti digitali?
Diciamo anzitutto che questa è una alternativa alla quale, negli ultimi vent’anni, non si è dedicata sufficiente attenzione pedagogica e attorno alla quale si è sbagliato a navigare a vista, senza saper bene quale fosse la destinazione e di conseguenza la rotta da seguire. Il risultato sono le ultime due generazioni che hanno imparato a scrivere con la mano su carta e si ritrovano a farlo perlopiù con due dita, spesso i pollici complementari ai lati della tastiera della versione evoluta di un cellulare, mentre a scuola hanno imparato ad usare la tastiera di un pc o di un tablet, ma alle prove valutate di scrittura, comprese quelle degli esami finali, hanno continuato a vergare a mano fogli di protocollo, talvolta persino divisi in due o tre colonne, come nei ricordi peggiori degli anni Sessanta. Quanto al leggere hanno imparato a farlo su fogli vari e ricchi come nessun’altra generazione ha potuto permettersi, ha continuato a farlo alternando testi a video e su supporti cartacei, ma nel complesso è andata progressivamente abbandonandone o diminuendone (tranne eccezioni) la pratica. Molteplicità? Flessibilità? Adattabilità? O caos cognitivo e linguistico nel rapporto generativo fra mente e dita nell’atto dello scrivere? O incertezza esperienziale fra bisogni, motivazioni e procedure di acculturazione nell’atto del leggere?
Comunque sia, oggi l’alternativa appare più drastica: la diffusione degli assistenti al pensiero e alla scrittura, sia che agiscano oralmente che per scritto, impone una riflessione più attenta sulle modalità con cui avviare alla lettura e alla scrittura, e poi via via farne fare pratica più evoluta.
- Apprendere e praticare la scrittura: con o senza assistenti digitali?
- Imparare a leggere: su quali supporti? con quale assistenza?